

Gli antibiotici, uno dei fondamenti della Medicina moderna, sono farmaci di estrema utilità che hanno cambiato radicalmente le prospettive di cura delle malattie infettive di origine batterica; infatti grazie al loro utilizzo, patologie altrimenti mortali o fortemente invalidanti vengono trattatte con successo; inoltre, l’antibioticoterapia ha reso possibili e sicuri interventi terapeutici ad alto rischio infettivo quali la chirurgia, la dialisi, la chemioterapia antitumorale.
Grazie agli antibiotici, milioni di vite umane vengono salvate ogni anno nel mondo.1
Come per un qualsiasi altro farmaco, gli antibiotici, oltre ai benefici terapeutici comportano una serie di rischi per chi li assume e solo il medico, a fronte di una diagnosi di malattia infettiva batterica o di alto rischio infettivo, può stabilire la necessità di ricorrere alla terapia antibiotica, che verrà prescritta se i benefici della cura superano i rischi associati alla stessa.1
I principali rischi che si accompagnano alle più comuni terapie antibiotiche sono le reazioni allergiche, le interazioni con altri farmaci, l’aumentato rischio di infezioni fungine (da Candida) o da batteri intestinali (Clostridium difficile) dovute, come approfondiremo in seguito, all’indebolimento del sistema immunitario per gli effetti dannosi degli antibiotici sul microbiota.1
Usare male un antibiotico prescritto dal medico, ovvero non rispettare i modi e i tempi di assunzione indicati (per esempio: ridurre le dosi, saltare qualche assunzione, interromperne l’uso prima del tempo) compromette la guarigione del paziente e danneggia la comunità intera; tali comportamenti, infatti, sono in grado di selezionare ceppi batterici resistenti che saranno causa di ulteriori infezioni nel paziente stesso e nella comunità curabili con maggiori difficoltà e con antibiotici via via meno maneggevoli.1
Assumere un antibiotico in assenza di indicazione clinica, ad esempio per infezioni di natura virale quali l’influenza o il raffreddore, è un uso altrettanto improprio; oltre a non essere di alcun beneficio, determina solo gli eventi indesiderati e contribuisce a selezionare ceppi batterici resistenti all’antibiotico stesso.1
Il microbiota esercita più funzioni benefiche per l’organismo, tanto da essere considerato un vero e proprio organo sistemico addizionale. Tra le funzioni più note vi sono quelle di produrre vitamina K, di fermentare le fibre vegetali altrimenti indigeribili e di stimolare la funzione immunitaria.3
Essendo gli antibiotici farmaci ad attività antibatterica, ed essendo il microbiota intestinale costituito da batteri, è intuibile come l’esposizione agli antibiotici danneggi il microbiota con importanti ripercussioni sullo stato di salute dovute, tra l’altro, alla compromissione immunitaria associata.2,4
Infatti, numerose evidenze scientifiche confermano che gli antibiotici sono causa di disbiosi, ovvero di alterazioni quali-quantitative delle specie batteriche e di compromissione della funzione del microbiota; gli antibiotici di uso più comune riducono del 30% circa la quantità dei batteri presenti nel lume intestinale con impoverimento della diversità di specie.2,4
Dal punto di vista funzionale, poi, il microbiota post-antibiotico dimostra attività biologiche alterate rispetto alla condizione normale con profili metabolici e funzionali più vicini a quelli che caratterizzano gli stati di malattia che non a quelli tipici del benessere fisico. 2,5
Una volta che il trattamento antibiotico è terminato, il microbiota va incontro a una ripresa che tuttavia è lenta (mesi o addirittura anni) e parziale (non viene a ripristinarsi la stessa varietà di specie batteriche presenti prima della terapia antibiotica, ma solo di alcuni dei ceppi preesistenti).2
Nelle condizioni di disbiosi, che come accennato durano mesi-anni dopo la fine del trattamento antibiotico, si realizza una certa compromissione del sistema immunitario che esita in una condizione di aumentata sensibilità alle infezioni, sia intestinali, sia sistemiche.2,3
L’impatto negativo della disbiosi da antibioticoterapia sul sistema immunitario è ancor più invalidante se si realizza nella prima infanzia, periodo critico per la maturazione del sistema immunitario e per lo sviluppo della tolleranza immunologica; molti casi di malattie allergiche, infiammatorie e autoimmuni sono risultati associati, infatti, alla disbiosi in fase neonatale per uso massiccio e continuativo di antibiotici.2,6
Per limitare i danni associati alla condizione di disbiosi, in particolare per prevenire le infezioni associate a compromissione immunitaria, una strategia di intervento è basata sull’uso di probiotici, ovvero sull’assunzione di microrganismi vivi che, se somministrati in quantità adeguate, conferiscono all’ospite benefici in termini di salute.7
I probiotici, infatti, sono usati con l’obiettivo di ripristinare e di migliorare un microbiota impoverito dall’attacco antibiotico.7
La letteratura medica documenta che tale approccio, basato sull’uso di varie specie Lactobacillus, si è dimostrato efficace in un’ampia gamma di disturbi gastrointestinali a impronta diarroica.7
Sources
1. CDC. Antibiotic Use in the United States, 2017: Progress and Opportunities. Atlanta, GA: US
Department of Health and Human Services, CDC; 2017.
2. Francino MP. Antibiotics and the human gut microbioma: dysbioses and accumulation of
resistance. Front Microbiol. 2016;6:1543.
3. Beccattini S, et al. Antibiotic-induced changes in the intestinal microbiota and disease. Trends Mol
Med. 2016;22(6):458-78.
4. Jernberg C, et al. Long-term impacts of antibiotic exposure on the human intestinal microbiota.
Microbiology. 2010;156:3216-23.
5. Raymond F, et al. Partial recovery of microbiomes after antibiotic treatment. Gut Microbes.
2016;7(5):428-34.
7. Langdon A, et al. The effects of antibiotics on the microbiome throughout development and
alternative approaches for therapeutic modulation. Genome Med. 2016;8:39.
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