

Il ruolo noto da più tempo per questa vitamina liposolubile è quello di regolare il metabolismo del calcio, ovvero di mantenere costanti i livelli di calcio in circolo e di controllare la mineralizzazione delle ossa.1
Tuttavia, i geni che esprimono il recettore della vitamina D sono stati rinvenuti in circa 400 tessuti e tipi di cellule diversi e questo suggerisce che questa vitamina possa avere più funzioni fisiologiche.3
L’intuizione che la vitamina D potesse avere altre azioni biologiche utili per la salute umana risale a oltre cent’anni fa quanto se ne ipotizzava e, in modo empirico se ne confutava, una certa azione antinfettiva.3
Nel 1903, il premio Nobel per la Medicina Niels Ryberg Finsen, infatti, dimostrò che l’esposizione ai raggi ultravioletti, ovvero la stimolazione della produzione endogena di vitamina D, era di beneficio per trattare il lupus vulgaris, un disturbo cutaneo associato all’infezione tubercolotica.3
Successivamente l’uso dell’olio di fegato di merluzzo, particolarmente ricco in vitamina D, si diffuse quale rimedio di una certa efficacia per i pazienti affetti da tubercolosi.
Ma solo dopo parecchi decenni si riuscirono a identificare i meccanismi attraverso i quali la vitamina D potenzia la resistenza dell’ospite alle infezioni esercitando un effetto immunomodulante.3
Gli eventi a sostegno dell’attività antinfettiva della vitamina D sono riassumibili nei 3 punti indicati di seguito:
In seguito si appurò che la forma a maggior attività della vitamina D [1α,25(OH)2 vitamina D] esercita effetti multidirezionali sul sistema immunitario dove stimola sia la funzione dei macrofagi e dei linfociti B e T sia la maturazione delle cellule dendritiche.3
Infine si è messo in luce come la vitamina D regoli la risposta infiammatoria spostando l’equilibrio infiammazione/anti-infiammazione a favore di quest’ultimo elemento una volta che il processo flogistico si sia innescato.3
Soffermandoci solo sui dati clinici certi: oltre ai problemi associati a un metabolismo del calcio compromesso (osteoporosi, osteomalacia o rachitismo nel bambino), gli stati carenziali di vitamina D determinano sofferenze anche a livello extrascheletrico con compromissione della funzionalità muscolare (ridotta forza muscolare, disturbi dell’equilibrio con conseguenti cadute) e compromissione immunitaria con aumentato rischio di infezioni.2
Una carenza di vitamina D, inoltre, compromette le capacità della barriera intestinale, favorendo così il passaggio di endotossine nel circolo ematico con attivazione di processi infiammatori sistemici.4
La vitamina D e il microbiota intestinale si influenzano reciprocamente:
il microbiota interviene per ottimizzare l’assorbimento intestinale del calcio
la vitamina D, intervenendo sulla composizione del microbiota, è in grado di mantenerne la funzione immunologica.4
Il microbiota intestinale regola l’assorbimento e il metabolismo del calcio grazie alla capacità di incrementare l’espressione dei recettori per la vitamina D a livello delle cellule epiteliali; la successiva interazione della vitamina D con i propri recettori induce l’espressione di TRPV6, il principale trasportatore del calcio che, dal lume intestinale lo trasporta all’interno delle cellule epiteliali in compartimenti specifici.
Meccanismi simili facilitano anche l’assorbimento del magnesio.5
Con l’obiettivo di valutare le influenze della vitamina D sul microbiota intestinale, recentemente è stato condotto uno studio di farmacologia clinica su 150 giovani adulti sani.
I soggetti sono stati suddivisi in 3 gruppi in relazione ai livelli individuali di vitamina D (alti, intermedi o bassi).4
Nel gruppo di soggetti con i livelli più alti di vitamina D, il microbiota era caratterizzato da abbondanza di Prevotella spp e scarsità di Haemophilus spp e Veilonella spp rispetto ai due gruppi con livelli di vitamina D intermedi o bassi.4
Il dato microbiologico che descrive un microbiota “migliore” associato agli alti livelli di vitamina D, trova supporto nel dato biochimico; infatti, si registravano valori aumentati di lipopolisaccaride, una tossina rilasciata dai batteri Gram-negativi ad elevata attività proinfiammatoria e immunologica, nei soggetti con livelli di vitamina D intermedi o bassi.
Si evidenziava anche una associazione inversa tra livelli di vitamina D e concentrazione di2 proteine che indicano infiammazione sistemica, la proteina C reattiva e la E-selectina, risultato che supporta ancor più una condizione di minor rischio infiammatorio qualora vitamina D e microbiota siano entrambi ottimali.4
Sources:
1. Bora Sa, et al. The gut microbiota regulates endocrine vitamin D metabolism through
Fibroblast Growth Factor 23. Front Immunol. 2018;9:art. 408.
2. Brandi ML, et al. Vitamina D. Tutto ciò che avreste voluto sapere e non avete mai osato
chiedere. Serie Editoriale Disease Management-SIMG. Pacini Editore, Pisa-2015.
3. Lang PO, et al. Vitamin D. Status and the host resistance to infections: what it is currently
(not) understood. Clin Ther. 2017;39(5):930-45.
4. Luthold RV, et al. Gut microbiota interactions with the immunomodulatory role of vitamin D in
normal individuals. Metabolism. 2017;69:76-86.
5. Capurso L. Il microbiota intestinale. Recenti Prog Med. 2016;107:257-66.
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