

Il nome vitamina D fu conferito da Elmer McCollum (biochimico americano), il quale nei primi anni ’20 dimostrò come l’assunzione di olio di fegato di merluzzo e l’esposizione ai raggi del sole consentissero di contrastare gli effetti del rachitismo.1
Il legame tra mancata esposizione ai raggi solari e rachitismo era stato già evidenziato nel 1919 dal pediatra tedesco Kurt Huldschinsky, che trattò bambini affetti da rachitismo, esponendoli ai raggi di luce di una lampada a vapori di mercurio.2
Pur non conoscendone la causa, questa malattia era nota fin dall’antichità e la prima descrizione dettagliata la si deve a Francis Glisson2,3, fisiologo e anatomista inglese del XVII secolo.
La struttura chimica della vitamina D venne identificata nel 1928 da Adolf Windaus, che vinse il premio Nobel per la Chimica per i suoi studi sugli steroli e sulle loro relazioni con le vitamine (la vitamina in questione era, appunto, la vitamina D).3
La vitamina D contribuisce al normale assorbimento e utilizzo di calcio e fosforo1 e, a differenza delle altre vitamine, può essere prodotta dall’organismo a livello della pelle, dopo esposizione diretta al sole.1
Il rene stimolato dal paratormone, un ormone prodotto dalle ghiandole paratiroidi, sintetizza un enzima (idrossilasi) che trasforma la vitamina D proveniente dagli alimenti e dalla produzione cutanea, nella forma attiva: il calcitriolo.5
La vitamina D, una volta attiva, stimola la deposizione di calcio nell’osso, ne promuove il suo assorbimento nell’intestino tenue e il riassorbimento a livello renale.5
Quindi, per mantenere l’equilibrio Calcio-Fosforo, mentre diminuisce l’eliminazione renale di calcio, aumenta quella dei fosfati.2
Patologie gastrointestinali, renali ed epatiche limitano rispettivamente l’assorbimento, la sintesi e il deposito di questa vitamina.3
La vitamina D mantiene in equilibrio le concentrazioni nel sangue di calcio-fosforo e la mineralizzazione ossea1, prevenendo l’insorgenza di malattie dell’osso1 come il rachitismo e l’osteomalacia, in cui la demineralizzazione determina deformità e fragilità delle ossa.6
Nel rachitismo, la forma che colpisce il bambino, vengono danneggiate anche le cartilagini di coniugazione con conseguente alterazione della crescita e presenza di malformazioni dello scheletro e del cranio.6
La carenza di vitamina D è diffusa nella popolazione anziana, ma può interessare anche tutte le altre classi di età, infanzia inclusa.1
Nella prima infanzia il rischio di carenza di vitamina D è più alto poiché la velocità di crescita è elevata.1
Dopo la nascita il neonato utilizzata le scorte di vitamina D acquisite in utero, ma c’è da dire che il latte materno non contiene elevati contenuti di vitamina D quindi l’esposizione controllata del bebè alla luce solare ed un eventuale supplemento alimentare contribuiscono a prevenire deficit di questo micronutriente.1
Invece, un aumento dei normali apporti di vitamina D nella dieta della madre non apparare in grado di modificare il contenuto di vitamina D nel latte materno o, in caso di gravidanza, di avere un effetto migliorativo sullo sviluppo del tessuto osseo del fetodi iche o della pelle.
lla pero come a distruzione de che codificano per le proteine p16, p19 e STAT3. a danno cellulare e sucessi.1
Anche l’adolescenza è caratterizzata da una rapida crescita del sistema muscolo-scheletrico, ma il tempo passato all’aria aperta e l’alimentazione in genere sono sufficienti a coprirne l’aumentato fabbisogno.1
Gli anziani, invece, sono un gruppo a rischio di carenza di vitamina D per mancanza di esposizione diretta alla luce solare e per diminuita produzione a livello della pelle.1
Le evidenze mediche correlano tale insufficienza ad una minore densità ossea che si traduce in un aumento del rischio di fratture dovute a cadute accidentali, con una incidenza maggiore nelle donne.1
Dagli studi emerge anche una azione stimolante della vitamina D sulle proteine muscolari che, conferendo ai muscoli maggior tonicità, porta ad un rafforzamento della muscolatura scheletrica con conseguente riduzione del rischio di caduta e rottura.1
La scoperta degli effetti positivi sull’organismo dei raggi solari si deve a Niels Finsen, premio Nobel per la medicina nel 1903, che concentrò l’attività di ricerca sugli effetti della luce solare sulle malattie dell’uomo.
In un secolo, molti sono stati gli studi che hanno confermato come l’esposizione al sole sia importante per la salute.
Ad esempio, la vitamina D prodotta dopo esposizione solare, assieme a quella assorbita dagli alimenti, contribuisce alla normale funzione del sistema immunitario1 e pare contribuisca positivamente anche in meccanismi di protezione antitumorali8 e cardiovascolari9, oggi oggetto di studio e approfondimento.
Oltre ai ben noti effetti della vitamina D sulla salute delle ossa, la ricercasi sta spingendo sempre più verso lo studio delle potenzialità di questa sostanza in altri organi e tessuti, cervello incluso.10
Dagli studi emerge che un suo apporto inadeguato è correlato a difetti cognitivi che portano ad una maggior difficoltà di apprendimento e memorizzazione.10
Questa vitamina, infatti, sembra favorisca il processo di eliminazione di radicali liberi e di proteine tossiche responsabili di processi neurodegenerativi, a vantaggio della normale attività neuronale.10
Persone obbligate a stare in casa, come neonati, ammalati ed anziani, o che per tradizione indossano abiti che coprono quasi totalmente il corpo, sono più a rischio di incorrere in carenza di vitamina D e l’apporto alimentare risulta essenziale per contrastare tale mancanza.4
Un alimento particolarmente ricco di vitamina D è l’olio di fegato di merluzzo, utilizzato come supplemento.1
Buone quantità di vitamina D sono fornite dai prodotti ittici soprattutto dai pesci grassi come l’aringa, il salmone e il tonno fresco1; tra le carni, modeste quantità di vitamina D sono presenti nel fegato di suino1; altra fonte importante sono le uova.1
Per favorire un apporto adeguato di questa vitamina in molti paesi alcuni alimenti di uso comune vengono arricchiti di vitamina D: in Italia da qualche anno sono presenti in commercio prodotti lattiero-caseari alla cui formulazione sono state aggiunte concentrazioni variabili di vitamina D e calcio.1
Sources:
1. LARN – LivellidiAssunzionediRiferimentodiNutrientiedenergia,
SocietàItalianadiNutrizioneUmana (SINU). IVRevisione – Ottobre 2014. Vitamina D, pag.
333-352.
2.Kumaravel Rajakumar, Susan L. Greenspan, Stephen B. Thomas and Michael F. Holick. Solar
Ultraviolet Radiation and Vitamin D. A Historical Perspective. The American Journal of Public
Health 2007 October; 97 (10):1746–1754.
https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC1994178/
3. George Wolf. The Discovery of Vitamin D: The Contribution of Adolf Windaus. The Journal of
Nutrition – The American Society for Nutritional Sciences June 1 2004 vol. 134 no. 6
1299-1302. http://jn.nutrition.org/content/134/6/1299.full
4. Cibi che fanno bene. Cibi che fanno male. Guida per utilizzare gli alimenti nel modo piùsano.
EdizioneSelezionedalReader’sDigest 2000. Pag. 323-324; 392-393.
5. Paolo Castano – Rosario F. Donato et al. Anatomia dell’Uomo. Edizione Edi-Ermes 2004.
Pag. 262, 305.
6. Fabio Celotti. Patologia generale e fisiopatologia. Edizione EdiSES 2013. Pag 190-192,
688-690.
7. H A Bischoff-Ferrari, B. Dawson-Hughes, H. B. Staehelin, J. E. Orav, A. E. Stuck, R. Theiler,
J. B. Wong, A. Egli, D. P. Kiel, J. Henschkowski. Fall prevention with supplemental and active
forms of vitamin D: a meta-analysis of randomised controlled trials. British Medical Journal
2009; 339:b3692. http://www.bmj.com/content/339/bmj.b3692
8. Michael F. Holick. Biological Effects of Sunlight, Ultraviolet Radiation, Visible Light, Infrared
Radiation and Vitamin D for Health. Anticancer Research 2016, 36:1345-1356.
http://ar.iiarjournals.org/content/36/3/1345.full.pdf+html
9. Stefan Pilz, Winfried März, Britta Wellnitz, Ursula Seelhorst, Astrid Fahrleitner-Pammer, Hans
P. Dimai, Bernhard O. Boehm, Harald Dobnig. Association of Vitamin D Deficiency with Heart
Failure and Sudden Cardiac Death in a Large Cross-Sectional Study of Patients Referred for
Coronary Angiography. The Journal of Clinical Endocrinology & Metabolism, 1 October 2008.
Volume 93, Issue 10, Pages 3927–3935.
https://academic.oup.com/jcem/article/93/10/3927/2627359?searchresult=1
10. Jeriel T. R. Keeney, Sarah Förster, Rukhsana Sultana, Lawrence D. Brewer, Caitlin S.
Latimer, Jian Cai, Jon B. Klein, Nada M. Porter, and D. Allan Butterfield. Dietary Vitamin D
Deficiency in Rats from Middle- to Old-age Leads to Elevated Tyrosine Nitration and Proteomics
Changes in Levels of Key Proteins in Brain: Implications for Low Vitamin D-dependent
Age-Related Cognitive Decline. Free Radical Biology and Medicine 2013 Dec; 65:10.1016.
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